Book #16: Kafka sulla spiaggia di Haruki Murakami

Murakami è uno di quegli scrittori che affascina da sempre una grossa fetta di pubblico. Ma perché? Il suo primo libro che lessi fu Norwegian Wood che mi piacque, certo, ma mi lasciò un po’ perplessa (forse per l’età e forse perché, a differenza di adesso, le poche letture che avevo alle spalle non mi avevano aiutato a comprenderlo). Con Kafka sulla spiaggia è stato diverso: il raffinato intreccio di eventi, di riferimenti alla cultura pop e non occidentale e giapponese, mi hanno rapito e mi hanno tenuto rinchiusa in quel mondo fantastico che solo i grandi scrittori possono rendere delizia e orrore allo stesso tempo. Era da tempo che non mi imbarcavo in un viaggio del genere.

Mi è sembrato di intuire che, prima di ogni cosa, le vicende di Kafka sulla spiaggia siano la summa di vari ed efferati atti di violenza. La Seconda Guerra Mondiale fa da sfondo alla vicenda di Nakata Satoru, il curioso vecchietto affetto da disabilità mentale che sa parlare con i gatti. Vittima indifesa, in quanto all’epoca del conflitto non era altro che un bambino, Nakata subirà un grosso torto che cambierà totalmente il destino della sua esistenza. Allo stesso modo, il protagonista Tamura Kafka sarà vigliaccamente abbandonato da bambino alle cure di un padre poco premuroso. Questo lo condurrà a scappare di casa il giorno del suo quindicesimo compleanno, ma su di lui aleggia una terribile profezia… Ma quale sarebbe questa profezia? E soprattutto, perché lo turba tanto? Il fato porrà sul suo cammino figure tormentate tanto quanto lui, che però lo aiuteranno a redimersi: il signor Ōshima , Sakura, la signora Saeki. La signora Saeki, colei che dà il titolo al romanzo. Per degli strani eventi, i destini di molti dei personaggi si intrecceranno, tanto da aggrovigliarsi in un nodo il cui discioglimento sarà atto a ristabilire l’equilibrio cosmico, turbato dagli errori di questi fragili ed egoisti esseri umani.

Questo romanzo mi ricorda terribilmente, almeno per la sua contorta struttura e per i numerosi riferimenti culturali, la prosa di Salman Rushdie. Ma se la prosa del romanziere indiano risulta barocca, quella di Murakami è raffinata ed essenziale, ricca di particolari, ma essenziale. Potrebbe sembrare un paradosso, ma così l’ho percepita. È come se ogni parola avesse una funzione particolare e fosse decisiva nello svolgimento della vicenda: niente potrebbe essere omesso. In Kafka sulla spiaggia i riferimenti all’arte sono molteplici: alla musica (si passa dai Beatles a Prince, da Hayd a Bethoveen) e alla letteratura, che fa da sfondo alla vita di Tamura Kafka e che riecheggia per tutto il libro sin dal titolo. Centrale per il romanzo è però la dimensione mitica e tragica. Le vicende di Tamura Kafka e di Nakata hanno dimensioni mitiche in quanto le loro peripezie sono motivo di profondi cambiamenti nel cosmo (come una violenta caduta di sardine dal cielo). Murakami in questo suo lavoro ha palesemente preso spunto dalla mitologia classica greca e, soprattutto, dalla tragedia. È infatti proprio un impianto tragico a sostenere tutta la vicenda di Tamura Kafka: la sua storia altro non è che una rivisitazione in chiave moderna dell’Edipo re di Sofocle, con finale però inedito (nessuna cecità finale però; tranquilli, non è così scontato). Che però sotto le mentite spoglie del signor Ōshima non si nasconda Tiresia?

Devo però ancora sottolineare che Kafka sulla spiaggia non è semplicemente un riadattamento di una grande tragedia greca, ma è piuttosto un viaggio nella realtà contemporanea che, nonostante secoli di progressi nella tecnica e la spiccata autorevolezza della ragione sui sentimenti, risulta ancora fondamentalmente dominata da due grandi forze universali: odio e amore, o per dirla alla Freud, eros e thanatos.

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