Viaggio dentro all’incubo che da anni affascina i fan della letteratura dell’orrore

Spesso il nome di un autore ingoia il suo lavoro. Così secondo me è successo con i libri di Stephen King: i rifacimenti cinematografici, la fama, il genere, me lo ha sempre fatto percepire come un autore commerciale, di poco valore, insomma, un pennivendolo da strapazzo. Mea culpa.
Ho scelto di approcciare la vasta opera di King con Shining perché amo molto la pellicola diretta da Stanley Kubrick, imperdibile se ancora non l’avete vista. Il romanzo mi ha riportato alla lettura dopo un periodo di noia: qualsiasi libro iniziassi a leggere veniva accantonato dopo pochi giorni. Annoiatissima, ho deciso che era arrivato il momento di questo romanzo e, udite udite, mi ha tenuta incollata alle pagine.
La scrittura di King è un crescendo di ansie e paure. Ora, la storia narrata in Shining la conosciamo pressoché tutti: Jack, sua moglie Wendy e suo figlio Danny si trasferiscono in un hotel sulle Montagne Rocciose del Colorado, l’Overlook, dove Jack è stato assunto come custode. Qui, l’uomo impazzirà e tenterà di accoppare tutta l’allegra famigliola. Del romanzo mi piace come si costruisca bene il background psichico dei personaggi, che permette di conoscerli poco per volta, con la naturale progressione che contraddistingue la conoscenza dell’essere umano. Allo stesso modo succede con l’Overlook e il suo passato. La trama è molto semplice e la scrittura scorrevole, ma la bellezza del racconto sta nell’abilità nel costruirlo, in un crescendo sempre più fitto e denso, che si condensa nel violento epilogo, completamente diverso rispetto a quello del film. Inoltre, diversi sono i rimandi ad altri grandi scrittori del brivido e del fantastico: Lewis Carroll, Shirley Jackson e soprattutto Edgar Allan Poe e il suo racconto La Maschera della Morte Rossa (1842), vero filo rosso del romanzo. L’ipertestualità di Shining si unisce ad una riflessione metaletteraria: Jack è uno scrittore fallito, incapace di trovare lo slancio per un nuovo lavoro, finché certe carte sull’Overlook non lo convincono che la sua prossima fatica deve parlare di quell’hotel; la sua ossessione per quel luogo maledetto cresce fino ad assoggettarlo completamente ai suoi diabolici piani.
Ma è meglio il libro o il film?
Beh, come ogni film liberamente ispirato ad un romanzo, siamo di fronte a due opere non perfettamente identiche, con situazioni ed epilogo diversi. La famosa scena del fiume di sangue che scorre dall’ascensore è un’invenzione di Kubrick; stessa cosa per il labirinto nei giardini dell’hotel. Io personalmente li amo entrambi; senza dubbio leggere il libro mi ha chiarito molti punti che nel film erano per me inspiegabili. Entrambi vivono e coanimano una storia da brivido, che nonostante gli anni (il romanzo è del 1977, la pellicola del 1980) continua ad affascinare. Questo è il primo libro di Stephen King per me, ma non sarà di certo l’ultimo.