
Ogni libro di Oriana (non me ne vogliate, ma data l’intimità che c’è tra noi mi sento di chiamarla per nome) è una scoperta. Non importa quanto tempo sia passato e l’anno di pubblicazione: lei riuscirà sempre a stupirvi. Sempre avanti. Sempre schietta e controcorrente.
Questo ho pensato leggendo sulla spiaggia Penelope alla guerra (1962). Nonostante la prosa non sia delle migliori (bisogna ricordare che si tratta pur sempre del primo romanzo della Oriana giornalista che si accinge a diventare scrittrice), alcuni passaggi mi hanno lasciato piacevolmente sorpresa per il loro vivido dipinto psicologico e sentimentale della protagonista, Giò. Non vi nascondo che quando ho iniziato la lettura mi ha stupido e non poco il fatto che la Fallaci avesse deciso di iniziare la sua carriera narrativa con un romanzo rosa. A fine lettura mi sono resa conto che, per fortuna, mi sbagliavo.
Roma. In principio erano Giovanna, detta Giò, e Francesco. Si frequentano, si piacciono, ma lei rimane aggrappata a quella sua verginità non dettata da una purezza d’animo o da una religiosità ottusa, ma da un desiderio inconscio di perderla con un uomo che le rubi l’anima. Per scrivere un nuovo soggetto cinematografico, Giò si reca a New York, innamorata della grandezza e dello sfarzo degli Stati Uniti, così diversi dalla povera e affamata Italia del dopoguerra. A New York Giò farà i conti con i suoi fantasmi, che si trasformano in uomini in carne ed ossa: qui infatti incontra dopo molto tempo Richard, un ex soldato americano che i suoi genitori avevano ospitato ai tempi della guerra. Sin da bambina Giò aveva provato qualcosa per quel ragazzo fragile e sensibile. Pensava fosse morto, e invece è lì, con lei, in quella magnifica città piena di opportunità. Ma non è così semplice: Richard è un uomo complesso, insicuro e scostante. Giò lo ama, ma l’amore può bastare a salvare qualcuno? Come se non bastasse, il terzo in comodo, Bill, sembra ossessionato da entrambi. Ma qual è il suo ruolo nelle loro vite? Presto Giò imparerà che l’America e gli americani degli anni ’60, in piena guerra fredda con i russi e con se stessi, non sono come se li aspettava.
Penelope alla guerra sembra un romanzetto rosa di primo acchito, ma invece è molto, molto di più. La protagonista è una ragazza di ventisei anni con una brillante carriera (ricordiamoci che erano gli anni ’60) che decide di vivere la sua sessualità secondo le sue regole: la verginità è una sua scelta, come lo è fare l’amore. Con chi e perché sono solo affari suoi. Ma il suo essere spudoratamente sincera con se stessa e con gli altri le costerà. In America imparerà inoltre che niente è come sembra, e che alle leggi del desiderio non si sfugge. Si parla di sessualità etero, bisessuale e omosessuale come se l’Italia dei tempi in cui il romanzo fu pubblicato fosse un paese progressista, pronto per questa bomba. In un paese di Penelopi come era il nostro, Giovanna decide di rovesciare le regole del gioco, e questa volta a partire per la guerra è proprio lei. Ma Ulisse, rimasto a casa a tessere la tela, sarà in grado di sopportare lo smacco di questa donna moderna che sembra poter fare a meno di lui? Penelope alla guerra è un romanzo visionario e femminista, proprio come la sua autrice. Nonostante la prosa acerba e a volte, devo dirlo, imbarazzante (Oriana perdonami) lo consiglio non solo se siete ammiratori dell’autrice, ma anche se vi piacciono le eroine forti ma umane, che riescono a farsi una corazza con le proprie fragilità.
VOTO: 7/10