
Non ho mai amato particolarmente la fantascienza. Per anni il mio ragazzo ha cercato di convertirmi al suo genere letterario preferito senza successo. Andando avanti col tempo, ho capito che forse la lettura di Muses di Francesco Falconi non è proprio il modo perfetto per iniziarmi alla fantascienza di qualità… Ultimamente, grazie ad una challenge molto interessante partita da Instagram, ho letto un classicone senza tempo.
L’isola del Dottor Moreau di H. G. Wells è un esempio di romanzo fantascientifico vittoriano riuscitissimo. Scritto nel 1896, stupisce ancora oggi per la profondità e l’attualità delle riflessioni portate avanti dal protagonista, Edward Prendick, scampato ad un terribile naufragio grazie all’intervento di un certo Montgomery e del suo strano servitore M’ling. Unitosi a loro, sbarcano su un’isola dove Prendick inizia a conoscere la realtà di Moreau, un fisiologo inglese radiato in patria e che qui continua i suoi misteriosi esperimenti. Prendick capisce che la sua incolumità potrebbe essere in pericolo in quella strana isola… Ma chi rappresenta il vero pericolo, Moreau e Montgomery, suo braccio destro, o gli strani esseri che si nascondono nella foresta?
A ripensarci bene, forse il vero motivo per cui mi è piaciuto tanto L’isola del Dottor Moreau esula il genere letterario, ma risiede nell’epoca di pubblicazione: l’età vittoriana è uno dei periodi storici letteralmente più fortunati per gli amanti del genere horror e fantascientifico: l’impero diventa l’ambientazione perfetta per il revival gotico di fine Ottocento, l’Imperial Gothic, i cui maestri sono Rudyard Kipling (soprattutto nei racconti indiani come The Mark of the Beast) e Henry Rider Haggard, autore di She, tradotto in italiano come La donna eterna. Gli anni del regno della regina Vittoria vedono anche l’affermarsi della teoria evoluzionista di Charles Darwin, che imparenta l’uomo con il regno animale: non più a immagine e somiglianza di Dio, e quindi essere divino, ma parente lontano di scimmie e scimpanzé. Proprio da questa teoria credo scaturiscano i temi affrontati da Wells in L’isola del Dottor Moreau: l’isola è abitata da animali umanizzati da Moreau, scienziato capace di educare qualunque bestia, rendendola anche nell’aspetto quasi umana grazie alla pratica della vivisezione. Il problema è che la bestialità, però, è troppo radicata in questi strani esseri, in bilico tra la condotta civile insegnatagli dal loro creatore, venerato come un dio, e i loro istinti più bassi. E’ incredibile la vicinanza della condizione di questi esseri a quella dell’uomo vittoriano, schiacciato da una miriade di precetti morali, ma capace comunque di azioni brutali (ricordiamoci che Jack lo squartatore, uno degli assassini seriali inglesi più ricordati, commise i suoi crimini sempre in epoca vittoriana). Un’altra chiave di lettura del romanzo potrebbe essere quella coloniale: che Moreau non sia altro che il colonizzatore inglese e gli “animali umanizzati” i colonizzati? Ricordiamo che la colonizzazione era giustificata eticamente con la scusa che l’uomo bianco, civile e illuminato, aveva il compito di portare la cultura e la moralità a quei popoli ritenuti inferiori; non era forse questo Il fardello dell’uomo bianco a cui si riferiva Rudyard Kipling nella sua famosa poesia del 1899?
L’isola del Dottor Moreau non è solo un romanzo di fantascienza: come molte altre opere di grandi scrittori, nasconde diversi riferimenti alla società dell’epoca di pubblicazione, in cui va collocato. Come spiegato nel capitolo precedente, l’epoca vittoriana fu particolarmente controversa, dove la pudicizia delle mogli si univa alla sfrontatezza delle prostitute che affollavano le strade delle grandi città; dove la carità si infrangeva contro la triste realtà dello sfruttamento minorile e delle colonie. Di fronte a tutto questo, come non chiedersi se anche in noi, come negli uomini bestia di Wells, la bestialità non cerchi sempre di tornare in superficie, riuscendoci soprattutto nei periodi più bui della storia?
Non sono mai stato un gran lettore di fantascienza. Non mi attraeva soprattutto la fantascienza classica, in cui lo stile spesso era scadente, forse anche per colpa dei traduttori. Qualche testo però l’ho trovato affascinante, come Le guide del tramonto, di A. C. Clarke, o le Cronache marziane di Bradbury. Molto piacevoli poi erano i romanzi di tipo avveniristico scritti tra Fine Ottocento e primo Novecento, tra il romantico e l’avventuroso. In qualche modo quegli autori riuscivano a creare un’atmosfera che la fantascienza successiva avrebbe dimenticato.
"Mi piace""Mi piace"