Book #29 : Il Grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald

Italo Calvino ha intitolato un suo famoso saggio “Perché leggere i classici?“; a questa domanda io rispondo dicendo che è di fondamentale importanza leggerli perché danno prospettiva: non si può capire la letteratura del futuro se prima non si assimila quella del passato. A tal proposito ho fatto qualcosa che mi ero ripromessa di fare da diverso tempo: ho riletto Il Grande Gatsby in lingua originale. L’avevo già letto, ma nell’edizione a 0,99€ della Newton Compton, il che equivale quasi a non averlo mai letto. Stavolta mi sono munita di una bella edizione Penguin e ho capito che cosa mi ero persa.

Copertina della prima edizione del 1925

LA TRAMA (NO SPOILER)

La trama, a grandi linee, la conosciamo tutti (complice anche l’adattamento cinematografico di Baz Luhrmann): Stati Uniti, anni ’20. Nick Carraway si trasferisce nello Stato di New York dal Midwest; qui conosce Jay Gatsby, il suo affascinante e misterioso vicino di casa, famoso per le sue sfarzose feste. Nick diverrà il tramite tra Gatsby e Daisy Buchanan, cugina di Nick e grande amore di Jay. Il problema è che Daisy è sposata, non proprio felicemente, con Tom, e la sua incapacità di scegliere tra i due uomini porterà verso un finale tragico.

LE TEMATICHE (SPOILER)

Raccontato così, Il grande Gatsby può sembrare la banale storia di un triangolo amoroso, ma non lo è affatto; il romanzo è ricco di simboli e di tematiche importanti. La prima tematica di cui parlare è la classe sociale. Jay Gatsby nasce povero, con il nome di James Gatz, e riesce in una scalata sociale di dubbia legalità. Alcuni critici inoltre fanno notare come Gatsby abbia cambiato il suo nome in quanto avrebbe suggerito un’origine ebraica. Sicuramente, pensando a Il grande Gatsby non si pensa all’ antisemitismo, ma le pagine ne sono ricche; basta far caso alla caratterizzazione di Mr Wolfshiem, socio di Gatsby, che viene descritto come un piccolo ebreo dagli occhi piccoli e dal naso piatto da cui fuoriescono dei folti ciuffi di peli. Per non parlare di Mrs McKee, un personaggio secondario che esclama:

I almost made a mistake too (…) I almost married a little kyke who’d been after me for years. I knew he was below me.

Stavo per commettere un errore anch’io (…) Stavo quasi per sposare un piccolo ebreo che mi veniva dietro da anni. Sapevo fosse inferiore a me.

Traduzione mia

Va sottolineato che la parola kyke è un termine dispregiativo utilizzato per indicare gli ebrei come razza inferiore. La verità è che la società in cui Gatsby si muove è dominata dai WASPs (White Anglo-Saxon Protestant) ed è una società razzista e statica, dove il tanto decantato American Dream, per cui tutti possono diventare qualunque cosa, si scontra con la dura realtà. Gatsby, il simbolo del self-made man, pur di raggiungere i propri desideri, incarnati dalla capricciosa Daisy, farebbe di tutto, tanto da sfidare la legge; ma in fin dei conti, rimane sempre incagliato nella sua classe sociale d’origine. Non per niente, Daisy, decisa a scappare con lui, cambia idea non appena Tom chiarisce di cosa si occupa.

La decadenza dei valori e della spiritualità si concretizza nella Valley of Ashes, letteralmente la valle di cenere, una landa desolata tra West Egg e New York, che ricorda la The Waste Land di T. S. Eliot, che non per niente espresse un parere positivo nei riguardi dell’opera. Proprio qui Nick incontra Tom che lo invita a conoscere la sua amante, Mrs Myrtle. Dio sembra aver abbandonato l’America, lasciando al suo posto gli occhi di T. J. Eckleburg, raffigurati su un cartellone pubblicitario di uno studio oculistico, che fissano con il loro sguardo vuoto l’immoralità degli americani, troppo preoccupati a consumare e a curare i propri affari piuttosto che la propria anima. Prima di uccidere Gatsby, George Wilson, marito di Mrs Myrtle, ripensando allo scontro avuto con la moglie, guardando fuori dalla finestra, fissa quei grandi occhi dicendo, “God sees everything” (Dio vede tutto).

Come dimenticare poi, la questione di genere? Le figure femminili in Il grande Gatsby non brillano né per intelligenza né per integrità: sia Daisy Buchanan che Myrtle Wilson sono due donne fedigrafe, che assumono un ruolo nel testo solo in relazione agli uomini che ronzano loro intorno; Fitzgerald inoltre riesce ad inserire nel testo affermazioni come “I hope she’ll be a fool—that’s the best thing a girl can be in this world, a beautiful little fool.” (it. Spero sarà una sciocca; è la cosa migliore che una ragazza può essere in questo mondo, una bella sciocchina) detta per bocca dalla stessa Daisy riguardo sua figlia; e “Dishonesty in a woman is a thing you never blame deeply” (it. La disonestà in una donna è una cosa che non si biasima mai davvero), frase pensata da Nick riguardo Jordan Baker, la ragazza con cui ha una relazione poco passionale. Jordan è l’unica donna emancipata della narrazione, una sportiva dalle braccia muscolose e abbronzate, opposta all’eterea bellezza di Daisy: Nick sembra invaghirsene, ma forse più per noia che per una reale attrazione. Inoltre, c’è una leggera allusione all’omosessualità di quest’ultimo, che non solo viene attratto da una donna decisamente mascolina, ma sviluppa un particolare attaccamento all’irresistibile Gatsby, forse vero amore della sua vita, la cui fine tragica lo convincerà a tornare nel Midwest. Ma queste sono tutte mie congetture. Congettura invece non è il finale del capitolo II, in cui si allude a un rapporto sessuale tra Nick e un fotografo. Realtà o sogno erotico? Come tutto il romanzo sembra suggerire, tutto prende il senso che noi gli diamo.

LA COPERTINA

L’iconica copertina della prima edizione del 1925 raffigura due occhi tristi e una bocca vermiglia sullo sfondo di un cielo notturno, illuminato dalle luci della città. Se si guarda bene, nelle due iridi si intravedono le figure di due donne nude. La copertina si deve all’artista di origini spagnole Francis Cugat, che finì la copertina prima che il manoscritto finale di Il grande Gatsby fosse concluso. Diverse sono le teorie sul lavoro di Cugat: c’è chi afferma che quegli occhi riprendano il famoso cartellone di T. J. Eckleburg, come sembra confermare la versione di Ernest Hemingway nel suo libro di memorie Festa mobile:

A day or two after the trip Scott brought his book over. It had a garish dust jacket and I remember being embarrassed by the violence, bad taste and slippery look of it. It looked like the book jacket for a book of bad science fiction. Scott told me not to be put off by it, that it had to do with a billboard along a highway in Long Island that was important in the story. He said he had liked the jacket and now he didn’t like it. I took it off to read the book

Uno o due giorni dopo la gita Scott mi portò il suo libro. Aveva una sovracopertina sgargiante e ricordo l’imbarazzo per la violenza, il cattivo gusto e il suo aspetto confuso. Sembrava la copertina di un pessimo libro di fantascienza. Scott mi disse di non farmi dissuadere, che aveva a che fare con un cartellone su un’autostrada a Long Island molto importante nella storia. Disse che prima gli piaceva ma adesso non più. La tolsi per leggere il libro. (Traduzione mia)

E. Hemingway, A Moaveble Feast, p. 176.

Se si legge attentamente il testo però, ci si imbatte in questa frase, proferita da Nick alla fine del capitolo IV:

Unlike Gatsby and Tom Buchanan, I had no girl whose disembodied face floated along the dark cornices and blinding signs (…)

A differenza di Gatsby e di Tom Buchanan, non avevo nessuna ragazza il cui viso fluttuava per degli oscuri cornicioni e delle insegne luminose (…) (Traduzione mia)

Con questa frase, F. Scott Fitzgerald ha integrato l’opera di Cugat all’interno del suo romanzo, così da rendere la copertina e il contenuto del libro inscindibili. Così scrive Fitzgerald al suo editore Maxwell Perkins: “For Christs sake don’t give anyone that jacket you’re saving for me. I’ve written it into the book.” (it. Cristo santo, non dare a nessuno quella copertina che stai tenendo per me. L’ho scritta nel libro.)

Schizzi preparatori della copertina di Il grande Gatsby (F. Cugat, 1925)

Probabilmente non si saprà mai la verità, ma di chiunque siano quegli occhi, il carattere evocativo, sensuale e patinato di quella copertina non potrebbe meglio descrivere e inglobare il potere di un romanzo che parla di una figura indimenticabile in un periodo indimenticabile, i ruggenti anni ’20.

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